IL DOVERE DELL’UOMO VERSO I PROPRI SIMILI

Il dovere dell’insegnante e quello dell’allievo

Il nobile Corano considera il sapere come la reale vita dell’uomo. Se infatti non fosse esistito il sapere non vi sarebbe stata alcuna differenza tra l’essere umano e gli oggetti morti e inanimati. L’allievo deve pertanto considerare il suo insegnante come una fonte dalla quale ricevere gradualmente la sua reale vita.
Da questo punto di vista esso deve la sua reale vita al suo insegnante; non deve perciò mancargli di rispetto, deve riverirlo e non deve mai rifiutarsi di ascoltare le sue lezioni, quand’anche egli si dimostrasse duro e severo nell’impartirle. Non deve mai trascurare di onorarlo, tanto in sua presenza che in sua assenza; durante tutta la sua vita e dopo la sua scomparsa deve sempre rendergli omaggio.
Da parte sua, l’insegnante deve sentirsi responsabile della reale vita dei suoi allievi; deve lavorare senza requie sino a che non li abbia trasformati in veri e rispettabili uomini. Qualora avvenga che essi trascurino le sue lezioni egli non deve disperare e nel caso in cui facciano dei progressi deve incoraggiarli. Egli inoltre non deve mai indebolire il morale dei suoi allievi né con le sue parole né con il suo comportamento.

I doveri dell’uomo verso i genitori

La creazione e l’educazione iniziale dell’essere umano si realizza attraverso i suoi genitori. È per questo motivo che la sacra religione islamica ha dato il maggior risalto all’ubbidienza e al rispetto dovuti al padre e alla madre, ha fatto le maggiori raccomandazioni in merito.
Nel Corano l’obbligo di fare del bene ai genitori viene addirittura menzionato immediatamente dopo l’ordine di non adorare altri all’infuori di Dio e ciò dimostra la grande importanza di questo dovere: “Il tuo Signore ha decretato che non adoriate che Lui e facciate del bene ai genitori”[1].
Il maltrattamento dei genitori è stato invece citato, nelle tradizioni che enumerano i peccati maggiori, immediatamente dopo alla credenza in piú divinità.
Nel versetto summenzionato Dio l’Altissimo aggiunge: “Quando uno di loro o entrambi raggiungono presso di te la vecchiaia, non dir loro parole mordaci, non alzare la voce su di loro e rivolgiti a loro rispettosamente. Per misericordia, dimostrati umile e sottomesso nei loro confronti e di’: ‘Mio Signore, abbi misericordia di loro, poiché mi hanno allevato quando ero piccolo’”[2].
Dice il Poeta: “Ben disse al figliuol suo la vecchierella canuta e bianca, quando lo vide gigante e forte: ‘Se tu memoria avessi della fanciullezza tua, quando bisognoso eri tra le braccia mie, non mi tormenteresti, or che leone sei tu e vecchia son io’”.
Secondo la sacra religione islamica ubbidire ai genitori, eccetto nei casi in cui essi ordinino ai figli di astenersi da un atto obbligatorio o di compiere un atto proibito, è un obbligo. L’esperienza ha dimostrato che coloro che molestano i propri genitori non conducono un’esistenza felice e, alla fine dei loro giorni, non raggiungono la salvezza.

Della disubbidienza ai genitori

Nel microcosmo familiare è possibile paragonare i genitori alle radici e i figli ai rami di un albero. Come l’esistenza dei rami dipende dalle radici, cosí la vita dei figli è legata a quella dei genitori. Considerando poi che la società umana è composta da due categorie, quella dei genitori e quella dei figli, si deduce che i genitori sono la radice fondamentale della società.
Maltrattare e molestare i genitori, oltre a essere un atto di estrema ingratitudine e viltà, provoca la graduale estinzione della razza umana e distruzione della società. In effetti, la mancanza di rispetto dei figli nei confronti dei genitori provoca da un canto l’indifferenza e la mancanza di affetto di questi ultimi nei confronti dei primi, e dall’altro la perdita di speranza di questi ingrati e irriverenti figli di essere un domani stimati, rispettati, amati e aiutati dai loro figli. Essi, con un tale stato d’animo, rinunceranno sicuramente a formare una famiglia. È possibile costatare questo stato d’animo in molti dei giovani del nostro tempo.
Ora, una tale mentalità, se dovesse generalizzarsi, metterebbe in discussione la riproduzione. Nessuna persona sensata dedicherebbe infatti la propria preziosa vita a far crescere un albero, sicuro di non potere un domani né assaggiarne i frutti né sfruttarne l’ombra.
Qualcuno potrebbe obiettare dicendo che il problema può semplicemente essere risolto dallo stato che con degli incentivi può incoraggiare gli individui a sposarsi e a procreare. Si può rispondere a tale obiezione che nessun metodo, nessuna consuetudine può durare senza possedere un sostegno naturale (quale l’affetto paterno, l’affetto materno o l’amore dei figli nei confronti dei loro genitori). Prescindendo da ciò rimane comunque il problema che, rinunciando a uno dei suoi istinti naturali, l’uomo si priva di una serie di puri piaceri spirituali.

I diritti dei figli

Un atto che deve essere compiuto, se viene considerato in relazione a chi deve compierlo viene chiamato “dovere”, mentre se viene considerato in relazione a chi deve trarne vantaggio assume il nome di “diritto”.
Ad esempio, quando una persona compie un lavoro in cambio di un compenso, è dovere del datore di lavoro pagare tale compenso e diritto del lavoratore averlo.
Dal momento che l’uomo è stato creato in modo da non vivere in eterno in questo mondo, Dio al fine di salvare il genere umano dall’estinzione ha istituito la riproduzione, munendo l’uomo dei mezzi necessari per realizzarla, rivolgendo i suoi sentimenti e i suoi affetti a essa. È per questo che l’uomo è naturalmente portato a considerare i propri figli come parte di sé stesso, a vedere la loro sopravvivenza come la propria; per la loro tranquillità e il loro successo sarebbe pronto a compiere qualsiasi sforzo e a sopportare qualsiasi tribolazione. Egli considera infatti la distruzione della loro persona o della loro personalità come l’annientamento della propria persona o della propria personalità. Egli in realtà agisce conformemente alle leggi che governano il creato: esse esigono infatti la sopravvivenza del genere umano.
I genitori devono quindi eseguire, nei riguardi dei loro figli, i doveri assegnati loro sia dalla coscienza che dalla legge islamica. Essi devono crescerli e educarli bene affinché divengano delle persone degne. Devono volere per loro ciò che, dal punto di vista umano, vogliono per sé stessi.
Citiamo ora una parte dei doveri che incombono sui genitori:

  1. dal primo giorno in cui i figli sono in grado di comprendere il significato delle parole e dei gesti, i genitori devono inculcare in loro le basi dell’etica, astenersi dall’intimorirli con cose inesistenti e superstiziose, impedire loro di compiere atti turpi e immorali. In loro presenza debbono guardarsi dal mentire, dal far maldicenza, dall’ingiuriare e dal pronunciare parole indecenti; al contrario, dinanzi a loro debbono sempre mantenere una condotta esemplare affinché essi crescano casti e virtuosi. Il padre e la madre debbono inoltre dimostrarsi zelanti, altruisti ed equi affinché queste nobili virtú si trasmettano, in base alla legge di “trasferimento del carattere”, ai loro figli ed essi imparino cosí a tenersi lontano dall’iniquità, dall’indolenza e dall’egoismo.
  2. Occorre che i genitori sostentino i figli sino all’età della ragione e curino la loro igiene e la loro salute corporale, affinché acquisiscano un corpo sano, una mente sana, una robusta costituzione e siano pronti a essere educati e istruiti.
  3. Quando i figli sono pronti a essere istruiti (solitamente verso il settimo anno) i genitori devono prodigarsi al fine di scegliere un buon maestro per essi, affinché le lezioni che ricevono da esso abbiano un effetto positivo su di loro, ingentiliscano il loro spirito, purifichino la loro anima e correggano il loro carattere.
  4. Quando i figli raggiungono l’età adatta per partecipare alle riunioni pubbliche o alle visite ai parenti, i genitori debbono condurli con loro affinché essi apprendano gli usi e i costumi della società e imparino le buone maniere.

Del rispetto dovuto alle persone anziane

È necessario rispettare le persone anziane. A tal proposito il sommo Profeta dice: “Onorando e rispettando le persone anziane si onora e si rispetta Dio”

.

Dei doveri dell’uomo verso i suoi parenti

I parenti che, attraverso i loro genitori, hanno un vincolo di sangue tra di loro, costituiscono la naturale causa della formazione della società. La comunanza di sangue e di cellule fanno dell’uomo un componente di un unico nucleo familiare. In considerazione di questo legame naturale, l’Islam ingiunge ai suoi fedeli di essere amabili con i propri parenti.
Nel Corano e nelle tradizioni risalenti al Profeta e agli Imam sono state fatte forti raccomandazioni a tal proposito: “Temete Dio, nel nome del quale vi chiedete [favori] l’un l’altro, e temete [di rompere le relazioni con] i vostri parenti, poiché Dio osserva le vostre azioni”[3].
Il sommo Profeta disse: “Raccomando ai miei seguaci di essere amabili con i loro parenti. Anche se la distanza che li separa è quella di un anno di cammino, i parenti devono fare in modo che il legame familiare che li unisce non si rompa”.

Dei doveri dell’uomo verso i vicini

Dal momento che i vicini hanno, a causa della vicinanza delle loro abitazioni, un maggiore rapporto tra di loro e formano naturalmente una sorta di grande famiglia, la buona o la cattiva condotta di uno di essi avrà sugli altri la maggiore influenza.
Ad esempio, chi passa la notte in casa a far baccano non disturba chi abita dall’altra parte della città, ma importuna enormemente il suo vicino. Il ricco che trascorre la sua vita a bisbocciare nel suo bel palazzo non fa patire i poveri che si trovano in luoghi lontani, ma fa costantemente soffrire il vicino indigente che soffre la fame in una misera capanna. Giungerà sicuramente il giorno in cui riceverà un duro castigo per questa sua indifferenza.
È per questo che la sacra legge islamica raccomanda molto di essere solleciti e rispettosi nei confronti dei vicini. Il Profeta disse: “[L’arcangelo] Gabriele mi fece cosí tante raccomandazioni a riguardo del vicino che io pensai che Dio gli avrebbe concesso il diritto di ereditare dal suo vicino”. Disse altresí: “Colui che crede in Dio e nel Giorno del Giudizio non opprime mai il proprio vicino e se costui gli domanda un prestito egli glielo concede; egli condivide con lui le sue pene e le sue gioie. Il vicino non deve essere molestato nemmeno nel caso in cui sia miscredente”.
In un’altra tradizione il Messaggero di Dio dice: “Colui che molesterà il proprio vicino non sentirà mai il profumo del Paradiso. Colui che non rispetta i diritti del vicino non fa parte di noi. Colui che è sazio e che sa che il suo vicino ha fame e non gli dà di che nutrirsi non è Musulmano”.

I doveri dell’uomo verso i poveri e gli indigenti

Non v’è dubbio che la società si è costituita allo scopo di soddisfare i bisogni dei suoi individui. Il piú importante dovere dei componenti di una qualsiasi società consiste nell’aiutare e nell’assistere i deboli e gli indigenti.
Al giorno d’oggi tutti sanno che l’indifferenza dei ricchi nei confronti dei problemi dei poveri costituisce il maggior pericolo per la società; esso è in grado di distruggerla, annientando per primi gli stessi abbienti.
L’Islam quattordici secoli fa, considerando questo pericolo, ha disposto che i ricchi distribuissero ogni anno dei loro averi tra i poveri. Qualora ciò dovesse rivelarsi insufficiente a soddisfare i loro bisogni è, secondo la religione islamica, meritorio fare (per Dio e nella misura in cui i propri mezzi lo consentano) loro elargizioni.
Dice Dio l’Altissimo: “Non raggiungerete mai il bene e la salvezza finché non donerete delle cose che amate”[4].
Innumerevoli tradizioni concernono l’assistenza ai bisognosi; il sommo Profeta disse in proposito: “Le migliori persone sono coloro che si dimostrano maggiormente utili alla gente”. Disse altresí: “Nel Giorno della Risurrezione il grado piú elevato, presso Dio, lo avrà colui che sarà stato piú benevolo nei confronti dei servi di Dio”.
Dice il Poeta: “Assisti nel momento della sventura l’amico tuo, se vuoi che t’assista la grazia del Signor tuo. Alfine un giorno raccoglierai, il buon seme che oggi seminerai”.

I doveri dell’uomo verso la società

Come è noto, gli uomini operano in comune e si spartiscono i benefici di questo sforzo collettivo, onde soddisfare i loro diversi bisogni.
La società può essere paragonata all’organismo umano. Ogni organo del corpo umano svolge il proprio specifico compito e gode dei frutti del proprio lavoro e di quelli dell’attività degli altri organi. In altre parole, ogni organo, nel proprio campo d’azione, si garantisce il proprio utile assicurando quello degli altri organi. Ora, se ciascuno degli organi si fosse dimostrato egoista e non fosse stato utile agli altri organi (ad esempio, se nel momento in cui la mano o il piede fosse impegnato a compiere una determinata azione, l’occhio si rifiutasse di collaborare, oppure se la bocca si fosse limitata a masticare e gustare i cibi senza ingoiarli e soddisfare in tal modo le necessità dello stomaco) l’essere umano sarebbe morto e con esso quegli stessi egoisti organi.
Il dovere di ogni individuo verso la società è analogo a quello che ciascuno degli organi del corpo ha nei confronti dell’intero organismo. L’uomo deve ricercare i propri interessi in quelli della società e quando lavora deve tenere presente il bene e l’interesse pubblico; solo in tal modo potrà trarre profitto dai suoi sforzi, dalle proprie fatiche. Ognuno deve insomma rispettare i diritti del prossimo se non vuole vedere i propri calpestati. Questa è una verità che tutti noi comprendiamo in modo insito e l’Islam, religione fondata sulla natura umana, non può che confermarla.
Il sommo Profeta dice: “Musulmano è colui che non danneggi né con gli atti né con le parole gli altri Musulmani”. Dice altresí: “I Musulmani sono fratelli e di fronte agli stranieri sono uniti e solidali tra di loro”. In un’altra tradizione afferma poi: “Colui che si disinteressa degli affari dei Musulmani non è Musulmano”.
Al ritorno dalla battaglia di Tabúk (alla frontiera dell’impero d’Oriente) tre Musulmani che non avevano partecipato alla battaglia andarono incontro all’armata musulmana per accoglierla. Quando videro il sommo Profeta lo salutarono ma egli voltò il viso in segno di dissenso e non rispose al loro saluto. Gli altri Musulmani seguirono il Profeta e tutti a Medina, persino le loro mogli, si rifiutarono di rivolgere loro la parola. Affranti da questo rifiuto, i tre esclusi si rifugiarono nelle montagne che circondavano la città pentendosi e chiedendo al Signore di perdonarli. Dopo qualche giorno Dio accettò il loro pentimento ed essi poterono fare ritorno in città.

[1]Corano XVII: 23.
[2]Corano XVII: 23 e 24.
[3]Corano IV: 1.
[4]Corano III: 92.