QUESTIONI VARIE

Della confessione

Nella legislazione islamica per confessione s’intende una frase o un discorso che provi un diritto altrui nei confronti della persona che lo pronuncia; la frase “Debbo mille riàl alla tal persona” è ad esempio una confessione.
Non c’è bisogno di dire quanto essa, per quel che concerne la difesa dei diritti che rischiano di essere calpestati, sia importante per la società. Infatti, il difficile lavoro svolto dall’organismo giudiziario, che, compiendo notevoli sforzi e sopportando grandi fatiche, raccoglie prove, indizi, cita testimoni e vaglia ipotesi, può essere risparmiato da una semplice confessione.
Nella religione islamica la confessione riveste una grande importanza, anche a livello individuale. Essa trae infatti origine dall’umano istinto di venerazione della verità (che si oppone a quello di adorazione dei sensi), per la vivificazione e l’attivazione del quale l’Islam spende tutti i suoi sforzi.
Dio l’Eccelso, rivolgendosi ai seguaci della religione islamica, dice: “Siate sempre giusti e onesti e dite sempre ciò che sapete, anche se ciò dovesse risultare a vostro scapito, o a scapito di vostro padre, di vostra madre e dei vostri parenti vicini”[1].
Per concludere ricordiamo che la persona che fa una confessione, affinché questa abbia valore legale, deve essere pubere, deve confessare per sua libera scelta e deve essere nelle sue piene facoltà mentali. Perciò la confessione di un bambino, di chi non è sano di mente, di chi si trova in istato di ebbrezza, di chi ha perso conoscenza e di chi è stato costretto a confessare, non ha alcun valore.

L’usurpazione

Colui che sottrae con la forza gli altrui beni e, senza che esista una delle cause che determinano l’acquisto della proprietà, se ne appropria ha commesso un’azione illecita chiamata, nella legislazione islamica, usurpazione [gasb]; è usurpazione anche l’azione di colui che, sempre con la forza, mette mano sull’altrui proprietà e si giova illecitamente dei suoi frutti, anche se non se ne appropria.
Possiamo pertanto definire l’usurpazione come il possesso di un bene altrui senza che sussista una delle cause che lo renda lecito (come la vendita, l’affitto e il permesso). Da ciò diviene evidente che l’usurpazione è un atto indegno, che viola il principio di appartenenza e proprietà. Nella stessa misura nella quale tale principio influisce sulla sopravvivenza della società, l’usurpazione contribuisce a distruggerla.
Quando i potenti di una società mettono indebitamente mano sugli averi che i deboli hanno ottenuto con immense fatiche, princípi quali l’appartenenza e la proprietà perdono la loro validità e ognuno calpesta i diritti di coloro che vede piú deboli di sé. I piú deboli poi, per godere dei frutti del proprio lavoro, sono a loro volta costretti a obbedire a qualsiasi ordine e a giocarsi completamente l’onore e la dignità. Se questa situazione divenisse generale la società umana si trasformerebbe in un mercato di schiavi e le leggi perderebbero completamente la loro validità, lasciando il loro posto alla violenza e all’oppressione.
È per questo che l’Islam considera l’usurpazione come uno dei peccati maggiori e prevede norme severissime per punire gli usurpatori.
Il nobile Corano e le tradizioni islamiche affermano espressamente che ogni tipo di peccato, a eccezione della credenza in piú divinità [shirk], è probabile che venga perdonato da Dio e ogni peccato, persino la credenza in piú divinità, è perdonabile con il pentimento, eccetto l’usurpazione (e la violazione dei diritti altrui), che viene perdonata da Dio solo se coloro i cui beni sono stati usurpati (o i cui diritti sono stati violati) perdonano coloro che hanno usurpato i loro beni (o hanno violato i loro diritti).
Citiamo di seguito alcune prescrizioni concernenti l’usurpazione:

  1. l’usurpatore deve immediatamente restituire il bene che ha usurpato al suo legittimo proprietario; se costui non è piú in vita deve restituirlo ai suoi eredi. È bene sapere che la restituzione deve essere effettuata anche se comporta per l’usurpatore gravi perdite. Se ad esempio un individuo si è appropriato indebitamente di una trave di ferro e se ne è servito in una costruzione, che gli è costata una somma di denaro centomila volte maggiore del valore di tale trave, egli deve demolire la costruzione, estrarre l’oggetto usurpato e restituirlo al proprietario, a meno che questo non accetti di ricevere un’indennità equivalente in denaro. Allo stesso modo, se vengono usurpati trenta chili di frumento e miscelati con tre tonnellate d’orzo, ove il legittimo proprietario del grano non accettasse di ricevere l’equivalente in denaro, l’usurpatore dovrà separare il grano dall’orzo e restituirlo al proprietario.
  2. Se si produce un difetto nel bene usurpato oltre all’obbligo di restituirlo al legittimo proprietario, bisogna anche risarcirgli i danni;
  3. se il bene usurpato dovesse andare perduto, bisogna pagare al suo legittimo proprietario una somma pari al suo valore in denaro;
  4. se l’usurpatore si astiene dal ricavare dal bene che ha usurpato i profitti che esso è in grado di dare, diviene responsabile dell’utile perduto. Ad esempio, chi usurpa un taxi e non lo sfrutta per diversi giorni, deve indennizzare il proprietario del mancato guadagno.
  5. Se l’usurpatore produce degli utili nel bene che ha usurpato (come colui che usurpa una pecora e, nutrendola di buona erba, la fa ingrassare) non avrà alcun diritto su di essi, a meno che non siano separati dall’oggetto usurpato (come nel caso dei frutti dati da un campo coltivato da chi lo ha usurpato), nel qual caso potrà averli e dovrà, oltre a restituire il bene che ha usurpato, pagare una somma di denaro al legittimo proprietario per aver usufruito del suo bene.

Del diritto di prelazione

Se due persone sono in società per una casa o un’altra proprietà comune e le quote non sono ancora state divise, se uno dei due vende la sua porzione a una terza persona, l’altro socio ha il diritto di acquistarla con lo stesso contratto e allo stesso prezzo. Questo diritto è chiamato “diritto di prelazione” [shuf’ah].
È evidente che tale diritto è stato stabilito dall’Islam allo scopo di equilibrare le società ed eliminare i danni e gli inconvenienti originati dalle alterazioni e dai cambiamenti attuati in esse dai soci. Infatti accade di frequente che l’immissione in proprietà del nuovo socio vada a scapito del socio detentore della prelazione, oppure, a causa di divergenze di gusti e di idee, divenga origine di diatribe e controversie, o ancora che la stessa autonomia nel possesso del bene abbia dei vantaggi per il socio possessore del diritto di prelazione, senza arrecare danni al socio venditore.
Per concludere ricordiamo che la prelazione si applica ai terreni, alle case, ai frutteti e ad altri beni immobili, mentre non v’è diritto di prelazione nei beni mobili.

Del risanare le terre inutilizzabili

L’Islam considera il risanamento di una terra inutilizzabile (sia che si tratti di una prateria o di un canneto, sia che si tratti di un terreno che è sempre stato inutilizzabile sia che, una volta risanato, a causa del completo spopolamento della zona, sia rimasto abbandonato degradandosi al punto di divenire completamente inutilizzabile) una buona azione. Colui che la compie oltre a divenire proprietario del terreno che ha risanato (essa è infatti una delle cause dell’acquisto di proprietà) riceverà anche, nel Giorno del Giudizio, una ricompensa da Dio.
Il nobile Profeta disse: “Chiunque risana una terra inutilizzabile ne acquista la proprietà”. L’imam Assàdig disse: “Le persone che hanno risanato una terra hanno diritto di priorità ed essa appartiene a loro”.
Nell’Islam le terre inutilizzabili appartengono a Dio, al sommo Profeta e agli Imam (appartengono cioè al governo islamico) e fanno parte dei cosiddetti anfàl.
Un terreno inutilizzabile può essere risanato e divenire proprietà di colui che lo ha risanato :[2]

  1. dietro permesso di uno degli imam o di uno dei loro vicari;
  2. se nessuno in precedenza lo ha delimitato o cinto o effettuato su di esso operazioni simili a queste;
  3. se non cade nella zona circostante alla proprietà altrui (che legalmente non deve essere occupata), come nelle vicinanze di un corso d’acqua, dell’argine di un pozzo o ai confini dei campi coltivati;
  4. se non appartiene alla categoria dei cosiddetti “terreni liberi” come ad esempio quelli delle moschee distrutte o quelli lasciati in qualità di fondazioni pie;
  5. se non è di pubblica proprietà dei Musulmani, come i viali e le strade.

Si faccia attenzione che un terreno è da considerarsi risanato quando viene di solito giudicato tale dalla gente. Cosí se si lavora su un terreno in modo tale che la gente vedendolo di solito lo giudica risanato, esso deve essere considerato tale.
I giacimenti superficiali che chiunque, senza dover ricorrere a scavi o estrazioni, può utilizzare, sono a disposizione di tutti perché se ne possa trarre profitto secondo le proprie necessità. Se però per utilizzarli occorre effettuare degli scavi, delle estrazioni ed eseguire le altre operazioni necessarie (come avviene ad esempio nel caso dell’estrazione dell’oro e del rame), colui che inizia per primo i lavori d’estrazione ne diverrà il proprietario.
Per concludere ricordiamo che i grandi corsi d’acqua, i fiumi, l’acqua delle nevi e delle piogge che si riversano dalle montagne sono proprietà comune dei Musulmani. Chiunque si trovi piú vicino a esse ha la priorità sugli altri.

Dell’oggetto rinvenuto (lugtah)

Ogni bene che sia stato rinvenuto e di cui non si conosca il proprietario viene chiamato “lugtah”. Citiamo di seguito alcune norme relative a questo argomento:

  1. se la lugtah ha un valore inferiore a un misgàl[3] d’argento, è lecito raccoglierla e impossessarsene, mentre se il valore è superiore alla misura indicata, non deve essere raccolta; nel caso in cui venga raccolta si deve per un anno intero e negli abituali modi ricercarne il proprietario e, dopo averlo trovato, restituirgli il bene. Se poi non si riesce a trovarlo è necessario dare ai poveri, a titolo di elemosina e da parte del proprietario, una somma pari al valore della lugtah.
  2. Se un bene viene rinvenuto in un luogo di rovine i cui abitanti si sono estinti o in un luogo sperduto o su terreni inutilizzabili privi di proprietario, diventa di colui che l’ha trovato. Se invece viene trovato in un terreno dotato di proprietario, si devono svolgere delle indagini presso i precedenti proprietari; dopo aver chiesto loro i segni di riconoscimento, se sono in grado di fornirli, gli si dovrà restituire il bene rinvenuto. Se invece non sono in grado di fornire i segni di riconoscimento il bene sarà di chi lo ha trovato.
  3. Un’animale privo di proprietario, se rinvenuto, deve essere trattato come una qualsiasi lugtah.
  4. Se un bambino privo di tutore viene trovato per strada, un Musulmano deve prenderlo sotto tutela e crescerlo.

Se un bene rubato viene depositato presso qualcuno esso va trattato alla stregua di una lugtah: deve essere restituito al suo legittimo proprietario e non al ladro.

[1]Corano IV: 135.
[2]Se piú persone decidono di acquistarne la proprietà, colui che agisce per primo ha la priorità sugli altri.
[3]Un misgàl è pari a circa tre grammi e mezzo.